Alcuni mesi fa la nostra Associazione espresse solidarietà al popolo birmano. In quell’occasione le manifestazioni promosse dai monaci buddisti, cui parteciparono moltissime persone, furono duramente represse dal regime militare che governa quel paese.
In coerenza con quella nostra posizione riteniamo sia doveroso focalizzare l’attenzione su quanto sta accadendo in Tibet. Ancora una volta i monaci sono stati protagonisti di manifestazioni di protesta contro un regime liberticida, trovando immediato sostegno tra la popolazione civile.
Come accadde il mese di settembre in Birmania la reazione non si è fatta attendere. Il governo cinese ha attuato un intervento repressivo, ha sparato sulla folla, ha già ucciso almeno ottanta manifestanti, negando poi l’evidenza.
Non ci limitiamo ad esprimere la nostra solidarietà al popolo tibetano, che da più di sessanta anni subisce l’occupazione cinese e le vessazioni che questa comporta. Auspichiamo infatti che la trattazione da parte dei mezzi di informazione di un argomento di tale importanza non si esaurisca, come già avvenne per la Birmania, in poche settimane. Desideriamo, al contrario, che si continui a lungo a trattare la questione tibetana, così da attirare l’attenzione di ogni singolo cittadino su come in quell’area del pianeta vengano continuamente violati i diritti fondamentali dell’uomo.
Quanto ai Governi e alle organizzazioni internazionali, riteniamo, nei limiti del nostro contesto, che essi non debbano limitarsi ad esprimere la loro sterile condanna nei confronti del regime cinese. E’ necessario che essi prendano posizioni chiare, risolute, efficaci. Gli interessi economici non possono, ancora una volta, essere anteposti a valori quali la dignità umana e la libertà di espressione.
In coerenza con quella nostra posizione riteniamo sia doveroso focalizzare l’attenzione su quanto sta accadendo in Tibet. Ancora una volta i monaci sono stati protagonisti di manifestazioni di protesta contro un regime liberticida, trovando immediato sostegno tra la popolazione civile.
Come accadde il mese di settembre in Birmania la reazione non si è fatta attendere. Il governo cinese ha attuato un intervento repressivo, ha sparato sulla folla, ha già ucciso almeno ottanta manifestanti, negando poi l’evidenza.
Non ci limitiamo ad esprimere la nostra solidarietà al popolo tibetano, che da più di sessanta anni subisce l’occupazione cinese e le vessazioni che questa comporta. Auspichiamo infatti che la trattazione da parte dei mezzi di informazione di un argomento di tale importanza non si esaurisca, come già avvenne per la Birmania, in poche settimane. Desideriamo, al contrario, che si continui a lungo a trattare la questione tibetana, così da attirare l’attenzione di ogni singolo cittadino su come in quell’area del pianeta vengano continuamente violati i diritti fondamentali dell’uomo.
Quanto ai Governi e alle organizzazioni internazionali, riteniamo, nei limiti del nostro contesto, che essi non debbano limitarsi ad esprimere la loro sterile condanna nei confronti del regime cinese. E’ necessario che essi prendano posizioni chiare, risolute, efficaci. Gli interessi economici non possono, ancora una volta, essere anteposti a valori quali la dignità umana e la libertà di espressione.