lunedì 17 dicembre 2007

"L'inizio della fine"


L’INIZIO DELLA FINE.
La pena di morte
nella storia dell’uomo

IMMAGINI, COMMENTI E TESTIMONIANZE.




sabato 12 e domenica 13 gennaio 2008
09.00-19.00 orario continuato



Sabato alle ore 11,00 è prevista una
presentazione dell'evento agli organi di stampa.




CLICCA LA MAPPA PER INGRANDIRLA

Spazio Espositivo Mater Misericordiae
Via Piatti.
Abbiategrasso

sabato 24 novembre 2007

Materiale "Birmania, dietro e oltre la crisi"

E' Disponibile il libretto informativo, in formato PDF, sulla storia e sulla situazione attuale birmana,distribuito alla conferenza: "Birmania: dietro e oltre la crisi".
Scarica il libretto

Ecco alcune immagini della conferenza.


Alcune immagini di vita birmana

martedì 13 novembre 2007

Solidarietà al Centro Culturale Islamico di Abbiategrasso

Pubblichiamo la nostra lettera apparsa sul settimanale abbiatense "Ordine e Libertà".
In merito ai continui attentati incendiari al centro culturale islmaico di Abbiategrasso è stato convocato un consiglio comunale aperto che si terrà giovedì 15 novembre alle ore 21 presso la Fiera di Abbiategrasso.

L’associazione culturale Abugaiò esprime la sua piena solidarietà alla comunità islamica di Abbiategrasso, nuovamente colpita da vili atti intimidatori.
La comunità islamica di Abbiategrasso ha sempre mostrato la volontà di integrarsi e di partecipare attivamente alla vita cittadina, nel pieno rispetto delle regole.
Riteniamo dunque che atti così gravi necessitino di una reazione forte da parte di tutta la cittadinanza abbiatense e dalle sue istituzioni.
Non ci limitiamo a stigmatizzare questo tipo di violenza. Sentiamo piuttosto il dovere di mostrare il nostro più profondo disprezzo verso chi, nascosto nell’ombra, colpisce attraverso atti terrostici e al tempo stesso codardi, quindi fugge per poi tornare a rifugiarsi nelle proprie degne dimore.
La nostra associazione crede invece nei valori dell’integrazione, dell’accoglienza, dell’ospitalità e del dialogo fra culture, diverse ma conciliabili.
Per questi motivi diamo la nostra completa disponibilità a partecipare a manifestazioni di solidarietà nei confronti del centro culturale islamico di Abbiategrasso, certi che una città civile come la nostra non mancherà di far sentir loro il proprio sostegno.

Associazione culturale Abugaiò, Abbiategrasso

lunedì 12 novembre 2007

"BIRMANIA DIETRO E OLTRE LA CRISI"




La Birmania tra XX e il XXI secolo.

La recente storia birmana incomincia col suo inquadramento all’interno dell’impero coloniale britannico. Il regno di Birmania infatti non riuscì a impedire alla Gran Bretagna di deporre l’ultimo re Alaungpaya e di annettere l’intero territorio alle Indie Britanniche dopo 3 guerre (1824 – 1826, 1851-1852 e 1885-1886).
Dal 1937 la Birmania viene separata dall’India e ottiene un governo autonomo, naturalmente all’interno del sistema coloniale inglese. Allo scoppio della seconda guerra mondiale la Birmania subisce l’invasione e l’occupazione giapponese. Nel 1942 infatti il Giappone con una forte offensiva in Indocina scaccia gli Inglesi; sotto il governo nipponico la Birmania acquista la sua prima indipendenza, puramente formale in quanto vero e proprio stato satellite, con un governo composto da nazionalisti collaborazionisti.La riconquista inglese del paese si compirà nel luglio 1945, con l'aiuto dell'AFPFL (Lega per la libertà delle persone antifasciste), guidato da Aung San. Aung San, il principale esponente del movimento indipendentista “Thai Kin”, ricevette addestramento militare in Giappone e la missione di costruire un esercito in patria (funzionale alle forze occupanti). Subito, però, si rese conto delle scarse prospettive di autonomia offerte dai giapponesi e perciò organizzò un movimento di resistenza partigiana antigiapponese (con l’avvallo degli inglesi).Aung San non nascondeva pretese di indipendenza nazionale: a guerra conclusa la Birmania ottiene infatti garanzie per una futura indipendenza; l’impossibilità di ripristinare un dominio effettivo spinse gli inglesi a puntare tutto su Aung San (spinti anche dal timore che questo potesse allearsi coi comunisti forti nel mondo contadino). Nel 1947 diventa vicepresidente del Consiglio esecutivo della Birmania in un governo transitorio. Tuttavia, nel luglio 1947, alcuni rivali politici assassinarono Aung San e parecchi membri politici di ispirazione socialista: seguì una situazione di caos completo con relative crisi politiche ed economiche. Il 4 gennaio 1948, la Birmania si trasforma in una repubblica indipendente, conosciuta come Unione della Birmania, con Sao Shwe Thaik come primo presidente ed U Nu come primo Primo Ministro. Con l'indipendenza, arrivarono anche le richieste, avanzate dalle minoranze (chin, kachin, karen, mon e shan) di uno Stato Federale, portate avanti con una guerriglia contro lo stato che rispose con una feroce repressione: il paese fu sconvolto da ribellioni armate e scontri con un esercito anch’esso in via di sfaldamento. La ripresa fu lenta: una parvenza di stabilità si ebbe nel 1951 con la vittoria alle elezioni di U Nu e del suo Fronte Antifascista.Diversamente della maggior parte delle altre ex colonie britanniche, la Birmania non divenne membro del Commonwealth; al contrario, insieme a Pakistan, Sri Lanka, India e Indonesia, la Birmania fu uno dei cinque governi che convocarono la Conferenza di Bangung nell’aprile del 1955 in cui i rappresentanti di ventinove paesi condannarono il colonialismo e decisero di non allinearsi rispetto ai due blocchi ideologici guidati da Stati Uniti da un lato e Unione Sovietica dall’altro.Di fatto però, la Birmania oscillava tra neutralità e influenza cinese. Quest’ultimo elemento prevalse nel 1962 quando con un colpo di stato il generale Ne Win assunse militarmente il potere, dichiarando di voler instaurare buoni rapporti solo con Pechino: il suo scopo era aprire una nuova “via al socialismo in Birmania”. Le conseguenze più dirette furono la chiusura in un ferreo isolamento politico, il rifiuto di qualsiasi aiuto statunitense la nazionalizzazione e collettivizzazione di tutte le imprese occidentali presenti nel paese.
Dal 1962 al 1988 il regime birmano fu un tipico regime comunista, guidato da un gruppo di militari marxisti. Ne Win, uomo forte del regime ridusse il Paese alla fame, mentre la repressione fece migliaia di morti. A livello di politica interna vennero soppressi i partiti politici (1964) e fu proibito il libero scambio. Il paese rimase isolato dal resto del mondo, data l'assenza di diritti civili per la popolazione, così come di libertà di stampa. Nel 1974 in seguito a consistenti rivolte popolari represse nel sangue (si parla di 130.000 morti) la Birmania si costituì come “Repubblica Socialista”.Nell’agosto 1988 un’ennesima rivolta popolare e studentesca contro il regime del Partito del Programma Socialista fu repressa nel sangue (rivolta dell’88) facendo migliaia di morti, Ne Win si dimise e fu proclamata la legge marziale, mentre il generale Saw Maung riorganizzò lo stato, sempre sotto il controllo militare. Nel 1989 la nuova giunta militare (il Consiglio per il Ripristino della legge e dell’Ordine) cambia il nome dell’Unione Birmana in Myanmar, per dare rilievo anche alle minoranze etniche e evitare con un compromesso lo sgretolamento del paese. Nel 1990 la giunta decide di tenere per la prima volta in 30 anni elezioni libere per formare un’Assemblea Costituente. Il NLD (Lega Nazionale per la Democrazia), il partito di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991 e figlia di Aung San, vince in maniera schiacciante le elezioni e porta alla Assemblea Costituente 392 membri, su un totale di 485, ma lo SLORC (Consiglio di restaurazione della legge e dell'ordine di stato), spalleggiato dall'Esercito, si rifiuta di cedere il potere, rovesciando l'assemblea popolare e mettendo fuori legge tutti i partiti.
Aung San Suu Kyi viene arrestata insieme ad altri leader dell'NLD. Da allora comincia un periodo molto difficile per Aung San Suu Kyi, che, rimessa in libertà nel 1995, viene nuovamente arrestata nel 2000, liberata nel 2002, e nuovamente arrestata nel 2003.) Nel frattempo numerosi membri dell’NLD e di altre formazioni politiche dissidenti vengono obbligati al silenzio o alla fuga all’estero.Il 19 agosto 2007 la giunta comandata dal generale Than Shwe aumenta del 500% il prezzo dei carburanti; stremata dall’ennesimo rincaro dei prezzi la popolazione, guidata dai monaci buddisti, scende in piazza; le manifestazioni di protesta, la dura repressione del governo, l’intervento dell’Onu tuttavia non sono storia ma attualità, sono parti di un processo storico ancora aperto le cui dinamiche future sono incerte e imprevedibili.

La Religione Buddista in Birmania.

La Birmania è un paese con una forte maggioranza di fedeli buddisti; il 90% circa dei Birmani è infatti buddista praticante. Sono presenti comunque nel paese minoranze musulmane sunnite (4%) nella regione del Rakhine al confine col Bangladesh, minoranze induiste (1,5%) e cristiane (4%, principalmente protestanti di origine battista; il cattolicesimo è praticato dall’1% circa della popolazione): in Birmania è garantita libertà di culto. In alcune zone del paese è tuttora praticato un culto popolare di tipo animista, il culto dei Nat, gli Spiriti della natura: in queste zone si può parlare di un vero e proprio sincretismo religioso tra Buddismo e culto dei Nat.La Birmania si può considerare nella pratica il paese più buddista del mondo: ne è dimostrazione la presenza costante dei precetti buddisti in diversi aspetti della vita del Birmano che esulano dall’ambito religioso per coinvolgere le relazioni sociali: ospitalità, tolleranza, rispetto degli altri e della natura, generosità. Il Buddismo nasce dalla raggiunta illuminazione del principe Siddharta Gautama nato nel 565 a.C. circa in India e morto nel 486 e si basa su una serie di suoi insegnamenti orali. Siddharta, detto anche Buddha, è, come dice il nome stesso, un risvegliato (buddha è infatti il participio passato del sanscrito budh, prendere conoscenza, svegliarsi), ed indica un essere che ha raggiunto il massimo grado di illuminazione ed è pronto a lasciare il mondo e entrare nel Nirvana.
Dopo circa mille anni di vita il buddhismo ha subito uno scisma in due correnti tuttora esistenti:la scuola Theravada o Hynaiana (Dottrina dei Decani o Piccolo Veicolo). Secondo il Buddismo Theravada il singolo è padrone del proprio destino spirituale e la ricerca del Nirvana è solo individuale, neanche un buddha può essere d’aiuto. Si tratta della corrente più austera, difficile, ascetica e viene oggi professata nello Sri Lanka, Laos, Cambogia, Thailandia e in particolare in Birmania. Il buddhismo Theravada si rifà fondamentalmente al "Canone Pali”, una raccolta dei testi arcaici nella loro elaborazione compilata in lingua Pali.La scuola Mahayana (Grande Veicolo). In contrapposizione al piccolo veicolo, riferito al singolo individuo, il grande veicolo è destinato a "contenere" tutta l’umanità; è una corrente più sociale e meno individualistica - l'individuo non viene lasciato solo con se stesso, come accade nel Theravada, ma resta nel mondo per aiutare gli altri a raggiungere lo stesso stato di illuminato. In sostanza viene anteposta alla ultima realizzazione personale del nirvana, la perfezione dell’intera umanità. Questa corrente è oggi professata in Vietnam, Taiwan, Mongolia e Corea e ha influenzato il Buddismo tibetano, nepalese e giapponese.. In entrambe le scuole di pensiero il buddismo insegna la fondamentale importanza della responsabilità verso tutti gli esseri viventi. Il cammino verso la liberazione interiore comporta un codice etico che implica, fra l'altro, l'azione non violenta. Ecco perché il buddista non può essere indifferente al mondo e tanto meno alla violenza. La non violenza è uno dei concetti imprescindibili del buddismo insieme alla responsabilità individuale nei confronti di quanto accade dentro e fuori di sé. È dunque impegno etico non acritica inazione. Per questo motivo non deve sembrare strano all’occhio del profano il ruolo attivo svolto dai monaci nelle recenti manifestazioni di piazza contro il regime birmano: già negli anni trenta e quaranta i monaci buddisti combatterono in prima linea accanto ai nazionalisti birmani contro il dominio coloniale britannico per l’indipendenza del paese.
Per capire il ruolo che possiedono all’interno della società è interessante analizzare il modo in cui la comunità provvede al loro sostentamento. I monaci infatti possono cibarsi solo attraverso l’elemosina ed è permesso mangiare solo il cibo raccolto con le offerte e tutti i bonzi sono obbligati alla questua giornaliera. I fedeli stessi però si sentono in dovere di offrire loro il cibo. L’offerta, viene fatta con piacere al fine di acquisire dei meriti; chi compie buone azioni avrà infatti un ciclo di reincarnazioni minori prima di arrivare all’illuminazione. Ma c’è un particolare significativo: il monaco, nel ricevere il cibi, non ringrazia: è lui che fa un favore al fedele, degnandosi di accettare l’elemosina. E’ una dinamica inusuale che mostra la posizione dominante dei monaci, solo apparentemente privi di qualsiasi strumento di potere, all’interno della cultura birmana. Non è un caso che sul nascere delle proteste nell’agosto 2007 il primo gesto attivo dei monaci sia stato proprio quello di rifiutare qualsiasi donazione che proveniva dai militari legati alla dittatura, cosa equiparabile a una scomunica religiosa.ù
L’opposizione al governo militare dura sin dai tempi dell’instaurazione della giunta di Ne Win nel 1962. Nel 1988 numerosi furono i monaci arrestati e imprigionati per aver partecipato alle manifestazioni di piazza antigovernative ma neanche i metodi intimidatori sono stati sufficienti ai militari dello SLORC per fiaccare la loro protesta pacifica; nel 1990 giovani monaci di tutto il paese rifiutarono le offerte dei militari dopo una serie di attacchi ai monasteri successivamente alla rivolta: numerosi furono ancora gli arresti e i condannati.Preso atto dell’importante autorità sociale, il governo di Than Shwe ha cercato di intrecciare allora rapporti più “amichevoli”col clero buddista sperando nel loro silenzio verso le questioni politiche. I leader politici pensano infatti che i monaci non dovrebbero interessarsi delle “cose terrene” Inutilmente. Col crescere del malcontento e con l’incremento del prezzo dei beni di prima necessità insieme a una popolazione ormai stremata migliaia di tonache color zafferano sono scesi in piazza ancora una volta protestando in modo non violento, cantando litanie e invocando democrazia con la consapevolezza di essere loro e non i militari al potere oggi a rappresentare i bisogni, i desideri, la coscienza morale di un popolo.

Etnie in BirmaniaMinoranze etniche in contrasto tra loro e con il potere centrale

La società birmana è molto composita. Dei 51 milioni di abitanti quasi il 70% è costituito dai birmani (Bamar): popolo di origine tibetana che, sceso da nord occupò le pianure dell’attuale paese dall’inizio dell’ VIII sec d.C. Qui, essi modellarono la cultura, la società e la religione della Birmania di oggigiorno spesso fondendosi con i gruppi autocnoni.
Le altre minoranze etniche del paese sono ben 66 e costituiscono un quarto della popolazione del paese; vivono in zone di frontiera, escluse dai circuiti turistici poiché pericolose per la loro situazione di isolamento riguardo molti aspetti (ad esempio quello sanitario) e per il frequente riaccendersi della guerriglia: esistono 30 gruppi armati in guerra con il potere centrale. Le tensioni possono essere spiegate con le deportazioni di massa che il governo ha attuato nei confronti delle minoranze dopo l’indipendenza del 1948, quando intere etnie vennero forzatamente trasferite da una zona all’altra del paese e determinando circa un milione di profughi interni.
La Birmania (oggi Myanmar) è suddivisa in 7 stati e 7 divisioni: queste ultime sono popolate prevalentemente dai birmani, mentre gli stati sono abitati dalle principali minoranze etniche e sono dotati di una certa autonomia amministrativa decretata per legge dal governo centrale.
L’etnia più numerosa è quella degli Shan che costituiscono circa il 9% della popolazione, abitano la zona orientale del paese al confine con la Cina, la Tailandia e il Laos e sono di origine cinese ma con forti influenze tailandesi; praticano il buddismo, si dedicano prevalentemente all’agricoltura e alla pastorizia ma sono anche noti per l’artigianato dei tessuti. I Karen (7%) abitano la zona a nord-est di Rangoon al confine con la Tailandia, sono in costante conflitto con il governo centrale e il loro stato è politicamente sostenuto da Pechino; i Karen sono di origine tibeto-birmana e divisi in numerosi sottogruppi; sono in maggioranza cristiani ma ne esiste anche una fazione buddista che ha istituito un proprio esercito - il Democratic Karen Buddhist Army (DKBA ) – in lotta con il KNLA (Esercito di Liberazione Nazionale Karen) che è invece sostenuto dal gruppo politico indipendentista del KNU (Unione Nazionale Karen).
I Rakhine (4%) sono di origine tibeto-birmana e vivono ad ovest del paese in una zona piuttosto isolata e circondata dalle montagne. Si suddividono in una maggioranza buddista e filogovernativa, e una minoranza musulmana (i Rohyngya) ostile al governo centrale e alla maggioranza buddista da parte dei quali subì discriminazioni e repressioni che la portarono a un’emigrazione di massa verso il vicino Bangladesh. A tutt’oggi la questione è irrisolta.
I Chin (2,3%) abitano la zona montuosa a nord-ovest del paese e rivendicano da sempre la propria autonomia; sono di origine mongola e praticano sia l’animismo sia il cristianesimo. I Kachin (2,3%) vivono nell’estremo nord del Myanmar e sono in costante guerriglia col Tatmadaw per l’indipendenza. Sono di religione animista e comprendono numerose sottotribù.I Kayah anche noti come “Karen rossi” vivono a nord-est di Rangoon. Anticamente vivevano in principati feudali, poi unificati in un unico stato nel 1951. In ultimo, i Mon (3%), appartenenti al ceppo khmer, furono in passato i più acerrimi nemici dei birmani sebbene finirono per essere assimilati da questi ultimi. Oggi godono di una certa autonomia territoriale.

Diritti umani: continuano le violazioni.

il funzionamento della macchina repressivaE’ la storia di ogni autoritarismo che si ripete indisturbata nell’isolamento in cui è piombato questo paese del Sud-est Asiatico. E il silenzio, di certo non aiuta.L’inviato dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, nel recente rapporto del febbraio del 2007, dipinge uno scenario sconfortante. In Birmania, infatti, manca spazio per la fioritura di istituzioni civili e democratiche, permangono limitazioni alle libertà fondamentali di espressione, associazione, riunione e libera circolazione e il sistema giudiziario non gode di indipendenza.
La Convenzione Nazionale per la conciliazione e la transizione democratica dal 1993 a oggi è stata sospesa più volte e, nonostante le dichiarazioni formali, la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) e i vari partiti etnici sono stati sempre estromessi da ogni iniziativa. A conferma dell’atteggiamento antidemocratico dei generali birmani, inoltre, i dati parlano chiaro: la leader Aung Saan Suu Kii rimane agli arresti domiciliari e le carceri del paese ospitano ancora 1201 prigionieri politici.Le violazioni sistematiche e generalizzate dei diritti umani in Birmania sono perpetrate dai militari fedeli a ciò che paradossalmente si chiama Consiglio Statale per la Pace e lo Sviluppo. Gli abusi comprendono: esecuzioni sommarie, tortura, pratica di lavori forzati, violenze sessuali, reclutamento di bambini soldato e arresti arbitrari. Andando in profondità, scopriamo una situazione contraddittoria, violenta e ormai insostenibile.
La Birmania ha ratificato la Convenzione del 1930 contro i lavori forzati. Tuttavia, Amnesty International sostiene che negli stati di Shan, Karen e Karenni i militari hanno continuato a sottoporre ai lavori forzati civili appartenenti a minoranze etniche, costringendoli a lavorare perportare a termine progetti di infrastrutture e a trasportare equipaggiamenti per le truppe di pattuglia.
Nel 2006 l’inviato ONU Paulo Sérgio Pinheiro ha raccolto informazioni circa 30 casi di stupro delle donne di Chin. Nel decennio 1996-2006 si sono verificati 3077 episodi di distruzione, abbandono o ricollocazione di villaggi nella Birmania orientale: esiste di più di 1 milione di sfollati, incapaci di integrarsi nuovamente nella società. Nel luglio del 2007 Saferworld – gruppo di consulenza per la risoluzione dei nuovi conflitti – ha pubblicato un rapporto sulla vendita di armi alla Birmania, cioè, su quel flusso incessante che rifornisce un esercito tra le cui fila compare tragicamente un numero crescente di bambini soldato.Le terre delle minoranze mon, shan e kaya vengono sistematicamente confiscate dai militari; la minoranza musulmana dell’ovest del paese è discriminata ed esclusa dalla vita politica in base alla Legge sulla Cittadinanza del 1982; tale esclusione alimenta un notevole esodo di rifugiati verso il vicino Bangladesh.
La scelta politica di chiudersi al mondo ha ovvi risvolti umanitari negativi. L’indice di Sviluppo Umano del 2005 del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) relega la Birmania al 129°posto su un totale di 159 stati. Il 40% dei bambini non raggiunge 5 anni di scolarità, il tasso di mortalità delle partorienti è tra i più alti del Sud-est asiatico, ugualmente alta è l’incidenza dei virus dell’HIV, della Tubercolosi e della Malaria. Le recenti restrizioni in materia di accesso degli stranieri hanno poi privato il paese di apporti preziosissimi: i francesi di Medici Senza Frontiere hanno lasciato il paese nel 2005 e la Croce Rossa Internazionale non è più in grado di operare secondo i metodi abituali.Bambini SoldatoLinfa vitale per l’esercito del regimeLe forze armate birmane si stanno avvicinando alle 500 mila unità pari a circa un terzo di quelle statunitensi e ventunesime per dimensioni nella graduatoria mondiale. Al comando dei militari vi è lo SLORC, la famigerata giunta militare composta dai “21 generali”.
Coloro che scelgono la vita militare, generalmente sono adolescenti disoccupati: così facendo si assicurano un lavoro ed un alloggio sicuri, cosa che in questo paese non è da poco. I bambini di età compresa tra i 4 e i 13 anni sono reclutati nella cosiddetta “Gioventù di Ye Nyut”, una sorta di corpo di Balilla dove imparano la vita militare e memorizzano gli slogan più gettonati. Raggiunto il quattordicesimo anno di età, scatta la leva obbligatoria.
Come è evidente lo SLORC attinge senza scrupoli da questa fonte. Le armi leggere utilizzate, infatti, sono facilmente trasportabili e utilizzabili anche dai bambini dopo solo pochi giorni di addestramento. In questa logica malata viene affermato che i giovani si assoggettano maggiormente alla disciplina militare, non pretendono paghe, difficilmente disertano e, soprattutto, sono facilmente sacrificabili. I bambini vengono trattati spesso con brutalità, le punizioni per eventuali errori sono severe; insomma, oltre al rischio ovvio di morire o di ferirsi durante i combattimenti si deve aggiungere la durezza psicofisica di un addestramento così precoce. Schiene e spalle si deformano per il peso delle armi. Sono le schiene e le spalle dei bambini, merce di poco prezzo che riceve solo le ultime ciotole di riso avanzato e che è costretta a vivere in condizioni igieniche pessime.Il 40% dei bambini soldato è costituito da ragazze e bambine; queste vengono rapite verso i 7 anni e in genere sono impiegate per i lavori più umili, vengono costrette a pulire, cucinare, raccogliere legna e acqua per i guerriglieri. Quando sopraggiunge la pubertà, poi, le ragazze subiscono innumerevoli abusi e contraggono malattie a trasmissione sessuale come l’AIDS.Il 5 e il 6 Febbraio del 2007 si è tenuta a Parigi la Conferenza “Liberate i bambini dalla guerra” a cui hanno partecipato i rappresentanti di 58 paesi, ministri, diplomatici e rappresentanti di ONG. I lavori hanno prodotto due documenti con linee guida legali e operative con obiettivo la protezione dei minori dall’arruolamento, la prevenzione del loro utilizzo nei conflitti e il loro rilascio per un efficace reintegro nella società.

Lavoro forzato: Una piaga diffusa.

Il 25 gennaio 1993, la CISL Internazionale denuncia il governo Birmano all’OIL per inadempienza della Convenzione che vieta il lavoro forzato e obbligatorio.
Viene nominata una Commissione di inchiesta che nel 1998 presenta il suo rapporto di condanna della giunta militare. Alla Conferenza del giugno 2000 viene approvata una risoluzione che condanna la Birmania per l’uso del lavoro forzato. La risoluzione, la cui efficacia partirà solo il 30 novembre 2000 chiede ai governi di esaminare le relazioni con la Birmania e di prendere le misure appropriate perché tali relazioni non possano essere utilizzare dalla giunta militare per perpetuare il lavoro forzato; La risoluzione autorizza il direttore Generale dell’OIL a:-chiedere alle organizzazioni internazionali di prendere in esame la cooperazione con la Birmania.- di mettere fine a tutte le attività che possano direttamente e indirettamente avere un impatto sul lavoro forzato. - chiedere all’ONU di mettere all’ordine del giorno della sessione del 2001 di luglio del Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) tali questioni chiedendo l’adozione di una Raccomandazione anche in Assemblea generale e da parte delle altre istituzioni specializzate e la sospende da ogni aiuto tecnico e dalla partecipazione alle riunioni della cooperazione, si tratta di arrivare a una totale sospensione da qualsiasi attività fino al ripristino del rispetto di tutte le libertà sindacali.Sul piano sindacale, accanto alle richieste alle aziende interessate di sospendere qualsiasi rapporto con Burma, si tratta di costruire l’aiuto politico e la solidarietà con il sindacato burmese in esilio. Il lavoro del sindacato è estremamente difficile, nonostante che la leadership sia molto preparata e decisa. Si tratta inoltre di sostenere la campagna per la democrazia e la liberazione di tutti i detenuti politici a partire dal Comitato centrale della Lega per la Democrazia.

Report dal “deserto sanitario”.

La Birmania e il dramma delle malattie infettiveIl progressivo impoverimento economico, sociale e culturale dell’ex Birmania espone sempre più la popolazione alle malattie infettive.Una pericolosa combinazione di fattori quali la repressione, l'assenza pressoché totale di servizi (il cosiddetto"deserto sanitario"), l'impoverimento economico e culturale, l’assenza dei mezzi di informazione e la diffusione di farmaci contraffatti e/o inefficaci, ha prodotto la crescita incontrollata e progressiva di tre malattie killer: HIV-AIDS, tubercolosi e malaria. Qui l’incidenza di tali patologie è inconsueta per il sud-est asiatico e comparabile a quella che si verifica nell'Africa sub-sahariana.
Il Myanmar ha una delle più basse spese sanitarie al mondo e occupa il 191° posto su 192 paesi analizzati dall' OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per quanto riguarda la performance del sistema sanitario.Si registrano in Myanmar più del 50% dei decessi per malaria dell'Asia meridionale. Il 40% della popolazione è affetto da tubercolosi, le cui forme più gravi (tubercolosi resistente alle prime e seconde linee farmacologiche) e la coinfezione HIV-tubercolosi sono sempre più frequentemente osservate dagli operatori sanitari stranieri. In aggiunta, la raccolta di dati epidemiologici e l'esplorazione dei territori al di fuori delle "rotte turistiche" sono ostacolati o spesso vietati dalle autorità locali, il che rende lo spazio umanitario ridotto al minimo.

Birmania: tra dittatura e eroina

L'affermazione della produzione di oppio in Birmania ha origini molto lontane, anche se è solamente in tempi recenti che questo stato, uno dei vertici del Triangolo d'oro( Birmania, Thailandia, Laos) dell'eroina, è diventato uno dei maggiori produttori del papavero da oppio. I primi traffici legati al commercio della droga risalgono alla seconda metà del diciannovesimo secolo, quando iniziarono a svilupparsi le prime coltivazioni nella zone settentrionali della Birmania britannica, terre situate ai confini della Cina dove era già affermata un'economia della droga.Il fiore del papavero si adattava perfettamente al clima e ai suoli poveri delle montagne tropicali in cui difficilmente potevano adattarsi altre colture. Il traffico di droga nel corso del Novecento ha sempre permesso alle varie fazioni in lotta all'interno della Birmania di finanziare la propria causa, comprando armi e ottenendo il favore della popolazione proprio grazie al controllo della coltivazione nelle varie regioni. Questo continuò anche dopo il 1948, quando la Birmania divenne indipendente. Verso la fine degli anni cinquanta cominciò a delinearsi il “Triangolo d'oro” dell'eroina” che ebbe proprio nel territorio birmano uno dei più importanti produttori di oppio. Le formazioni ribelli, come lo Shan National Army o quelle del Partito comunista birmano, iniziarono un'aspra contesa per assicurarsi la principale risorsa che permettesse loro di acquistare armi con facilità: l'oppio. La produzione del papavero aumentò in maniera vertiginosa, a causa di due fattori tra loro connessi. L'ascesa del mercato americano dell'eroina e dei primi miliziani capaci di assumere un ruolo significativo nel traffico di droga, come Kun Sa, un leader a capo di una milizia locale che per trent'anni fu il dominatore incontrastato del commercio dell'eroina nel triangolo d'oro. Kun Sa ha sempre coperto il narcotraffico dietro una maschera di ideologie nazionaliste, riuscendo però a controllare buona parte del mercato della droga. Definito dagli agenti antinarcotici di tutto il mondo come “il principe della morte” per indicare che la sua organizzazione ricorreva a omicidi e rapine, è scomparso il 31 ottobre 2007 all'età di 74 anni. Secondo le stime di Washington nel suo periodo di massima influenza le terre controllate da Kung Sa producevano il 60% della droga immessa sul mercato statunitense. Una produzione che non è mai stato contrastata dalle istituzioni birmane, nemmeno dall'ultima dittatura militare che controlla attualmente il paese. sembra invece tollerare la produzione e il narcotraffico a differenza della Thailandia che è riuscita ad arginare questa piaga ed è libera dall'oppio da una ventina d'anni. Se nel 1948 la produzione di papavero si aggirava intorno alle 30 tonnellate, nel 1997. Nel 2007 secondo i dati presentati dall'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga la produzione della Birmania sarebbe aumentata del 29% in un anno, consolidandosi al secondo posto nella produzione mondiale dietro all'Afghanistan. Una notizia che va in controtendenza dopo anni di successi contro la diffusione delle coltivazioni. Nel primi anni del duemila la produzione di eroina subì infatti una leggera caduta mentre ultimamente sono ripresi a spuntare i campi coltivati a papavero come ha cinfermato uno studio dello scorso anno della SHAN ( Shan Herald Agency For News) che ha rivelato come la giunta militare che governa in Birmania favorisce e protegge il traffico per tornaconto personale, anche se il governo sostiene di combattere il commercio di droghe, collaborando in maniera “parziale” con le Nazione Unite. Lo studio della SHAN ha denunciato come alcuni capi delle milizie locali, specie delle minoranze etniche Wa, Kachin e Luha. Siano dei narcotrafficanti. Questi leader militari garantiscono al governo centrale il controllo del territorio, contrastando gli oppositori antigovernativi e in cambio hanno mano libera sulla produzione e il traffico di droga, avvalendosi della complicità dell'esercito che viene rifornito dagli stessi trafficanti.

L’Europa e le Armi in Birmania.

L’embargo mai rispettatoLa notizia del trasferimento dall’India a Myanmar alla Birmania di una partita di elicotteri militari contenenti tecnologie e componenti provenienti da diversi paesi dell’Unione Europea è dell’estate scorsa; questo è solo l’ultimo di tanti episodi che hanno compromesso e continuano a compromettere l’embargo deciso dalla stessa UE nei confronti della fornitura di armi al paese asiatico. Ma facciamo qualche cenno storico per inquadrare meglio il problema: Il divieto di forniture militari venne introdotto inizialmente nel 1988, anno delle rivolte studentesche e popolari contro il governo di Ne Win; la violenza della repressione suscitò un forte clamore internazionale e a ciò fece seguito l’embargo; venne poi rinnovato nel 1996, nell’ambito di una “posizione comune” dell’Unione Europea che prevedeva anche la sospensione degli aiuti non umanitari e dei programmi di sviluppo, ancora rafforzata nel 2002 e infine lo scorso anno. I governi dell’Unione hanno formalmente espresso il loro disappunto per le continue violazioni dei diritti umani e la mancanza di progressi nel trasformare la Birmania in una democrazia anche attraverso l’embargo. L’embargo prevede infatti che nessun equipaggiamento militare deve essere fornito, direttamente o indirettamente, al governo birmano. Ma che senso ha un embargo se non viene poi fatto rispettare?Nella sopra citata vicenda degli elicotteri sono coinvolti Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Svezia, oltre ad aziende statunitensi e purtroppo al momento non esistono restrizioni sul trasferimento dei mezzi e delle loro componenti dall’India alla Birmania. L’India ignorando l’embargo Ue compra le singoli componenti dai paesi europei, vendendo poi il mezzo assemblato in totale libertà alla Birmania poiché tra India e Birmania non vigono restrizioni particolari.L’India infatti è attualmente il quarto maggiore partner commerciale della Birmania. La crescente collaborazione tra i due paesi è dovuta sia per il successo che il governo indiano sta ottenendo nel reprimere alcuni gruppi di ribelli birmani in India nord orientale sia per prevenire la crescente espansione commerciale della Cina nel Sud-est asiatico. Se si considera che tra il 2006 e il 2007 i governi di Nuova Delhi e Rangoon hanno raggiunto un volume di scambi del valore di 1 miliardo di dollari, allora è proprio il caso di preoccuparsi.Quel che è peggio è che, secondo un rapporto di Saferworld, un gruppo di consulenza sulla risoluzione dei conflitti, non esiste nessun sistema di controllo esteso all’intera UE per monitorare l’applicazione dell’embargo; addirittura governi come quello francese hanno aggirato i divieti, spacciando per dispositivi civili i motori di Turbomeca per gli elicotteri indiani.Per mettere fine a questa situazione l’UE dovrebbe innanzitutto ritirare tutte le licenze di autorizzazione all’esportazione esistenti e rifiutare ogni ulteriore richiesta d’autorizzazione riguardante il trasferimento di tecnologia o componenti belliche; inoltre dovrebbe interrompere le coproduzioni con l’India che potrebbero dal luogo al trasferimento di equipaggiamento coperto da embargo alla Birmania.Gli stati membri dell’UE dovrebbero poi dare supporto agli attuali sforzi per sviluppare un Trattato internazionale sul commercio delle armi al fine di istituire regole vincolanti e globali su tutti i trasferimenti di armi in linea con le norme del diritto internazionale e con gli standard sui diritti umani. Questo trattato è l’obiettivo della campagna “Control Arms”, che in Italia è promossa da Amnesty International e dalla Rete italiana per il disarmo.

Corsi e ricorsi
8 Agosto 2008, giorno simbolico a Pechino e in Birmania.

L’8 Agosto del prossimo anno Pechino si sveglierà con l’ansia e l’eccitazione di chi realizza che il momento è arrivato. Tutto dovrà risplendere, funzionare, stupire. Insomma, il gigante asiatico vuole lasciare il resto del mondo a bocca aperta quando i riflettori si accenderanno sulla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici. 8 Agosto. 8.08, ora locale. La scelta di quel momento e di quel giorno sta ovviamente a indicare l’irripetibilità e la magnificenza di un evento che ci proietterà definitivamente nel futuro, in quel “secolo cinese” che aprirà nuovi orizzonti e dipingerà nuovi scenari globali. “One world, one dream”: ecco il motto delle prossime Olimpiadi, ma più che mai, oggi, queste parole stridono con la realtà dei fatti. Cosa può rovinare l’inizio della festa nell’estate pechinese? Qual è la variabile che è sfuggita al calcolo degli organizzatori? Spesso, anche se recenti, alcuni avvenimenti si perdono nell’oblio della storia, o semplicemente non fanno parte della memoria collettiva di chi – come noi – vive in Occidente. Ma l’8 Agosto del prossimo anno ricorrerà il ventesimo anniversario degli incidenti con cui la giunta militare birmana represse la grande rivolta studentesca del 1988. Di primo acchito, ci si può chiedere come la Cina non abbia considerato tale tragica coincidenza. Poi, con la calma che favorisce il ragionamento, ci ricordiamo che comunque la Cina rimane un regime autoritario che ha adottato il modello capitalista nella sua forma più pragmatica, quasi spietata, e soprattutto che è un paese dove anche oggi gli eventi di Piazza Tienanmen sono tabù. Rimane qualcosa di irrisolto che fa soffrire, cancellato dalla memoria collettiva.E’ evidente, però, che se la Cina prendesse a condannare in modo deciso i soprusi che si verificano in Birmania, avrebbe il potere di influenzare positivamente la situazione! A proposito, il 17 ottobre l’ONG Human Right Watch, in una lettera, chiede al presidente Hu Jintao che la Cina sospenda ogni programma di cooperazione militare, che si astenga da apporre il veto su possibili risoluzioni del Consiglio di Sicurezza riguardanti la Birmania, che lasci attraversare il confine a eventuali rifugiati in accordo con le Convenzioni vigenti, che ritiri la China National Petroleum Corporation e Sinopec dal progetto di costruzione di gasdotti in territorio birmano. Infine, si chiede che la Cina si spenda per favorire il dialogo tra militari e dissidenti, perché la strada verso la democrazia, non sia solo qualcosa di fittizio.In fondo, è nello stesso interesse cinese “aggiustare” le cose, lì proprio a due passi da casa. Perché l’8 Agosto, nel giorno tanto atteso…tutto vada nel verso giusto.

ONU e Birmania.
Un pianoforte da Londra al 54 di University Street, Rangoon

In queste ore un pianoforte è in viaggio dalla capitale del regno britannico con destinazione il numero 54 di University Street, Rangoon, città della Birmania. In questa casa abita Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione al regime militare, Nobel per la Pace e agli arresti domiciliari da molti anni. E’ un gesto simbolico, che risolverà politicamente poco e che darà forse solo un piccolo sollievo a Suu Kyi. E’ però un esempio concreto di presa di posizione di un occidente spesso disinteressato al futuro del popolo birmano, di un Consiglio di Sicurezza ONU succube dei veti cinesi e russi, incapace di azioni decise in difesa del popolo birmano e di quei monaci che incarnano le voci di protesta.L’ONU ha inviato in missione Ibrahim Gambari con il compito di interloquire con il regime e l’opposizione e trovare una mediazione che avesse come obiettivo il ripristino dei diritti dell’uomo nel paese asiatico. La prima missione si è risolta con colloqui con la giunta militare e i partiti di opposizione, che però non hanno portato a soluzioni della crisi se non l’istituzione di un Ministero per le relazioni con l’opposizione, gesto simbolico che però ha costretto il regime a riconoscerne l’esistenza.Le sanzioni di embargo sono state approvate solo dall’Unione Europea, mentre l’ONU ha votato solo una dichiarazione di preoccupazione per i fatti birmani mentre il Giappone ha ritirato alcuni aiuti alla Birmania e gli Stati Uniti si appellano ad una forte pressione internazionale per fermare la repressione delle proteste.Il Consiglio delle Nazioni Unite invece non ha approvato le sanzioni a causa del parere contrario di Cina, Russia e India, interessate a mantenere rapporti commerciali con l’attuale regime.Si deve comunque sapere che non solo questi tre paesi hanno relazioni commerciali con la Birmania. Le sanzioni dell’UE infatti non riguardano l’importazione e l’estrazione di beni come gas e petrolio, settori in cui operano diverse aziende europee, interessate a mantenere salde le proprie quote nell’area. Anche gli Stati Uniti costituiscono un’importante mercato per l’export birmano, ma si deve dare atto dell’esistenza di un progetto volto a limitare le importazioni dal regime e all’applicazione di sanzioni unilaterali.Cina e India invece sono competitor nel mercato delle importazioni di risorse energetiche, intenzionate al mantenimento del regime birmano per evitare contraccolpi nella politica interna, sia dal punto di vista industriale sia sul piano della sicurezza, soprattutto la Cina che teme episodi di protesta anche sul suo suolo nazionale.La diplomazia internazionale agisce quindi su un terreno impervio, obbligata a preservare interessi privati e pubblici, nel tentativo di ristabilire alcuni principi democratici in favore del popolo birmano e cercando di dialogare pacificamente, senza ricorrere ad azioni multilaterali contro il regime militare.Attualmente è in corso la seconda missione di Gambari, che si pone come obiettivo il dialogo con i generali e l’opposizione per trovare una mediazione tra le forze in gioco. L’inviato ONU proverà a bloccare gli arresti di oppositori e dissidenti politici che si stanno susseguendo nelle ultime ore, e cercherà di trovare una soluzione al caso Suu Kyi, nell’intenzione di porre fine agli arresti domiciliari di quest’ultima.Da notare è il fatto che il regime dichiara fermamente di non essere intenzionato a cambiare linea politica, denuncia l’inesistenza di prigionieri politici ammettendo per la carcerazione di soggetti che minano la sicurezza nazionale.L’Unione Europea cerca di interloquire con il regime birmano e ha nominato un commissario ad acta per le relazioni tra l’Istituzione e la Birmania, riconoscendo l’incarico al parlamentare italiano Piero Fassino (chiaro segnale dell’interessamento europeo alla crisi in corso nel paese asiatico).
Per saperne di può e aggiornarsi quotidianamente, vi segnaliamo i seguenti link

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A cura di Abugaio

mercoledì 24 ottobre 2007

venerdì 12 ottobre 2007

Abolizione pena di morte.


No alla pena di morte, traguardo possibile
Frattini: all’Onu vicini al quorum per la moratoria.
Giornata europea contro le esecuzioni

La pena di morte ha i giorni contati.
L’europa sta convincendo il mondo a mandare in pensione il boia. E per sempre. Da Lisbona arriva un’altra spallata. Le maggiori istituzioni del Vecchio continente, Commissione e Consiglio UE hanno deciso che quella del 10 ottobre (due giorni fa, ndr), sarà la giornata europea contro la pena di morte.
L’Italia gioca un ruolo da protagonista. Anche sul palco scenico di tutto il pianeta. Il vicepresidente della Commissione UE Franco Frattini ostenta ottimismo: “Siamo vicini- ha detto- ad una maggioranza all’assemblea generale dell’ONU sulla risoluzione per una moratoria sulla pena di morte, ma ancora non è stata raggiunta”.
L’ultimo ostacolo è rappresentato da alcuni paesi africani ancora incerti sul da farsi. Sono questi che faranno pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Il messaggio da trasmettere è di quelli che non lasciano spazio ad interpretazioni: “UCCIDERE ESSERI UMANI NON PUO’ ESSERE UN ATTO DI GIUSTIZIA”. E, statistiche alla mano, non riduce neanche la criminalità. “La pena di morte- ha aggiunto Frattini- può trasformare errori giudiziari in immense tragedie umane”. Quanto al nostro paese, sempre Frattini, ha auspicato che che l’Italia proceda in fretta alla ratifica della Convenzione dei diritti umani del Consiglio d’Europa, che abolisce la pena di morte in ogni circostanza, anche in tempo di guerra. Siamo insieme a Francia, Spagna, Lettonia e Polonia, una delle cinque nazioni dell’Unione a non averlo ancora ratificato. Come ha ricordato il Presidente della Commissione Barroso, la Francia lo ha fatto il 10 di ottobre (l’Italia ha però abrogato l’articolo del codice penale che prevedeva la pena di morte in tempo di guerra, ndr).
“Con la giornata di oggi confermiamo l’Europa zona liberata dalla pena capitale nella convinzione che possa essere estesa al resto del mondo” ha detto a Lisbona il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremic, presidente del comitato dei ministri dell’organizzazione di Strasburgo.
Tesi sottoscritta, e ci mancherebbe altro, anche dal Presidente della Commissione Barroso: “la pena di morte è una negazione dei nostri valori di europei” la sua dichiarazione dalla tribuna di Lisbona. E ha aggiunto: “Lanciamo un appello per l’abolizione universale. La pena di morte è contraria ai diritti umani, come sanciti nella Convenzione europea delle libertà fondamentali”. Dal 1990 più di 50 paesi hanno abolito la pena di morte. Ad oggi circa 130 paesi rispettano una moratoria per le esecuzioni capitali. Nel 2006 sono state condotte nel mondo 5628 esecuzioni capitali ed il numero di paesi che le ha realizzate è SALITO da 24 nel 2005 a 27 nel 2006.
In Europa da 3650 giorni la pena di morte non è più stata eseguita nel Vecchio continente, ha rilevato il Segretario generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis. I 47 paesi dell’organizzazione di Strasburgo l’hanno abolita, ad eccezione della Russia, dove è tuttora in vigore una moratoria. Ma , ha avvertito Davis, “sappiamo che in Europa ci sono ancora molte persone favorevoli alla pena capitale. Ogni volta che c’è un crimine particolarmente odioso, o semplicemente, in alcuni casi, un’elezione, si sentono voci che ne chiedono il ripristino”. Infine la questione polacca. Il governo di Varsavia si era detto contrario ad indire la giornata contro la pena di morte. Ma dopo le elezioni la Polonia potrebbe togliere il veto. “E sull’abolizione- ha puntualizzato Frattini- la Polonia è con noi . Nessun paese membro può aprire la discussione sulla reintroduzione della pena capitale, sarebbe una grave violazione dei trattati.
( Carlo Baroni, L’Avvenire, 10 ottobre 2007)

martedì 17 luglio 2007

Pena di morte. Perché sostenere la moratoria.

Negli ultimi anni i paesi abolizionisti sono aumentati. Nel 2006 gli Stati che, di diritto o di fatto, NON applicano la pena di morte sono 129, a fronte di 69 che ancora la prevedono nel loro ordinamento e la applicano. Pochi sono i paesi che la applicano in modo massiccio. I dati del 2006 mostrano questi riscontri:

Arabia Saudita, almeno 39 esecuzioni;

Iran, 170 (4 minorenni e 2 lapidazioni);

Iraq, almeno 65;

Pakistan, almeno 62 (1 minorenne);

USA, 53;

Sudan, 65;

Cina 1500 (sono 68 i reati per i quali è prevista la pena di morte, non ultimo il furto di cavi elettrici).

Perché essere assolutamente contrari alla pena di morte:

-PERCHE’ NON E’ PIU’ POSSIBILE TORNARE INDIETRO UNA VOLTA ESEGUITA LA CONDANNA: il rischio di uccidere un innocente non può essere sottovalutato da un’autorità statuaria (come gli italo-americani Rodolfo Sacco e Bartolomeo Vanzetti, condannati sulla base di prove indiziarie e riconosciuti NON COLPEVOLI dal tribunale del Massachusetts quando la condanna era già stata eseguita);

-PERCHE’ NON E’ UN DETERRENTE: 2 esempi immediati mostrano che il timore della pena non dipende dalla previsione nell’ordinamento della pena capitale: dal 1977, anno in cui gli Stati Uniti hanno reintrodotto la pena di morte, i reati sono AUMENTATI. Il caso diametralmente opposto si è verificato in Canada: da quando il Parlamento canadese ha ABOLITO la pena capitale (anno…) i reati sono DIMINUITI!

-PERCHE’ E’ UNA FORMA DI TORTURA PSICOLOGICA: si pensi all’attesa che la pena venga eseguita o al fatto che in alcuni paesi, tra cui il Giappone, il condannato NON abbia la conoscenza riguardo al quando dell’esecuzione;

-PERCHE’ LA VENDETTA NON E’ GIUSTIZIA: nonostante, davanti all’efferatezza di alcuni reati commessi, la reazione del singolo cittadino si basi sull’emotività del momento, un’autorità statuaria NON può far leva su questa emotività e assecondare l’istinto. Un’autorità statuaria non può rispondere ad un delitto con un OMICIDIO. La pena di morte è il crimine premeditato per eccellenza.

L’abolizione totale della pena di morte è un atto di civiltà.